Sono salito alla torre di osservazione “Erik-Knutsåsen”, presso Gördalen, lungo i confini settentrionali del parco nazionale Fulufjället. È un bel punto di vista su una regione selvaggia coperta da una rada foresta d’altura con abeti e betulle, rilievi ondulati intervallati da paludi e piccoli stagni. Arrivato in cima, noto sulla piattaforma dei piccoli grumi di materiale, che ad un’occhiata più attenta si rivelano borre di rapace notturno. Alzo lo sguardo: ad una ventina di metri incrocio quello magnetico di un’ulula, che evidentemente ha anch’essa scelto di sfruttare le caratteristiche panoramiche della torre. Un magnifico incontro, inaspettato e non frequente. Non si può essere sempre preparati a qualsiasi evenienza fotografica, ed ero salito sulla torre con un corredo corto da paesaggio: questa immagine è quindi un generoso crop, che, tuttavia, riflette lo spirito della composizione originale, in cui l’animale (per scelta, per forza o per entrambe le cose) è ambientato nel paesaggio. Il genere di foto agli animali che preferisco. Penso che potrei passare il resto della mia vita in Svezia (e a dir la verità spero di farlo) e tuttavia continuare a provare un’emozione particolare ad ogni incontro con la fauna nordica. In fin dei conti sono e resterò sempre uno straniero, un europeo del sud cresciuto a boschi di latifoglie e macchia mediterranea. Uno per cui “Gallo cedrone” è un nome dal retrogusto di mito, quell’urogallo preso a paradigma della fauna in estinzione sulle Alpi. Un profilo che continua a farmi sobbalzare ad ogni incontro, nonostante lo avvisti con una certa frequenza. Alce, gallo forcello, piviere tortolino… sono ormai i miei compagni di strada, figure che accompagnano le giornate di quel viaggio che è la mia vita svedese. Il cedrone (ma non solo) è anche un compagno di strada in senso letterale: è lungo le strade che è più facile avvistarlo e distinguerlo dal folto della foresta; ed è lungo la strada, dal punto di osservazione privilegiato di una poco naturalistica automobile, che è possibile avvicinarlo maggiormente, essendo più confidente verso una vettura che non una figura umana. Urogallo quindi, e uno di ieri: una mattinata fredda e ventosa in cui ho incontrato diverse femmine di galliformi accucciate in buche scavate nella terra, intente a riscaldarsi; per poi, chissà, riportare quel calore ai pulcini che probabilmente le attendevano poco lontano, al riparo del sottobosco.
La foto in volo mostra la colorazione particolare della pagina alare inferiore, che è unica tra i gabbiani: fuliggine, quasi nera, con un brillante bordo bianco. Un uccello di queste dimensioni si ciba soprattutto di insetti: la foto a destra (crop) lo mostra mentre ne punta uno (verosimilmente una zanzara) che staziona sulla superficie di un piccolo stagno… e la risposta alla domanda che qualcuno potrebbe farsi è: no, non ho la foto del momento in cui l’ha beccato, perchè non sono stato abbastanza pronto (e il mio autofocus nemmeno). Non è mica sempre strolaga.
Ad oggi sono passati esattamente due mesi senza un nuovo post. E da oggi un post al giorno per i prossimi sette... per il tempo perduto. Malinteso. Che si tratti di una cassetta nido, nessun dubbio, ma immagino non fosse esattamente questa la modalità d’uso che chi l’ha appesa aveva in mente. L’uccello, quasi certamente una Cesena, è comunque rimasto almeno coerente allo spirito dell’iniziativa (ci tengo a precisare che il nido era inutilizzato al momento dello scatto). Ieri ho incontrato una femmina di Gallo cedrone particolarmente amichevole e collaborativa. Anziché limitarmi allo scatto furtivo e di rapina che di solito accompagna questi incontri fortuiti (e che lascia sempre l'amaro in bocca, dal punto della gratificazione personale e del rapporto empatico col soggetto), ho approfittato della sua disponibilità per fermarmi ed osservarla a lungo. Ed ammirarla: il corpo massiccio, perfetto per trattenere il calore, è anche un capolavoro di mimetismo, splendido nelle sue tinte calde e marezzate che culminano nel bavaglino fulvo; le zampe fittamente piumate dagli artigli potenti; il becco, strumento ideale per tagliare manciate di aghi dai rami dei pini, aiutandosi con una marcata torsione del collo: un movimento apprezzabile in uno degli scatti della sequenza che potete vedere dopo il break (cliccare su Read More). Ho trascorso tre quarti d'ora in compagnia di questo magnifico animale, rimanendo discretamente defilato; durante questo tempo si è limitato a sbirciare saltuariamente quella sagoma sconosciuta che emetteva strani fruscii a 6 fotogrammi al secondo. Fino a quando non ha deciso, per una volta in piena tranquillità e autonomia, che fosse giunto il momento di trasferirsi su un altro albero. _ Facciamo un piccolo passo indietro, e torniamo al parco nazionale Söderåsen, fine ottobre. Arrivato alla parte più elevata della faggeta, avverto un fruscio costante. Qualcosa di molto simile al rumoreggiare di un torrente, ma non ci sono corsi d'acqua qui in alto. Mi avvicino alla fonte del rumore, che sale in intensità. D'improvviso una nuvola e un fragore esplodono sollevandosi dal suolo: uno stormo enorme di Peppole si invola. E si invola, e si invola... continua così per almeno un intero minuto, riempiendo l'aria di ripetute ondate cinguettanti che si posano poco lontano, coprendo sia il sottobosco che le chiome degli alberi, dove ricominciano a fare quel che facevano prima che le disturbassi: alimentarsi alacremente di faggiole. Le peppole usano radunarsi per l'inverno formando occasionalmente contingenti enormi: ricordo bene lo stormo svernante in Slovenia che pochi anni fa fece clamore nel mondo degli appassionati, stimato in 4 milioni di uccelli. Qui non siamo a quelle cifre, ma certamente sto guardando decine di migliaia di uccelli, difficile dire quante. _Avanzo ancora, e dai lati e dinanzi a me salgono altri stormi compatti, deflagrando nella nebbia con rumore di cascata, come eruzioni di geyser. Con cautela mi avvicino ulteriormente: gli uccelli al suolo son così numerosi che non si vedono più le foglie. Un altro gruppo parte, si dirige verso di me, mi sorvola, è sopra e intorno a me come un turbine, un maelström di piccoli corpi e ali frullate allo spasimo. La mano corre alla fotocamera, ma il risultato è del tutto inadeguato, come era facilmente prevedibile. Mi trovo coperto di escrementi ma gratificato da una delle esperienze in natura più emozionanti che mi sia capitata. Qualcuno non ce la fa: l'ultima foto ritrae un maschio rimasto incastrato giorni prima in un ramo secco, probabilmente durante un improvviso tentativo di involo.
Ogni anno ritornano. Benvenuti, come benvenuta, dopo quasi sette mesi di neve, è la stagione calda che li riporta qui. Parlo ovviamente dei migratori. Presenze familiari, che si trovino in cima ad una montagna coperta di tundra, come il Piviere Tortolino e quello Dorato di Nipfjället, oppure nei giardini delle case del paese, come la Balia Nera. Coi due pivieri l'appuntamento è rituale: arrivano a maggio, col disgelo in quota, quando sono io ad essere lontano, impegnato nelle mie personali migrazioni primaverili. A giugno li cerco, una ricerca che sancisce l'inizio della mia estate, e li ritrovo dove li avevo lasciati alla fine di quella precedente (potete vedere altri scatti del Tortolino nelle Cronache di giugno 2008 e luglio 2010). Alla Balia, invece, pensano gli svedesi tutti, che popolano i loro giardini di cassette nido, ben volentieri utilizzate dal piccolo pigliamosche bianconero. Da anni li vedo sfrecciare di albero in albero, e questi sono due semplici scatti documentativi che rimandavo da tempo.
Perché realizzarli proprio ora? Perché la cassetta stavolta è nel mio giardino, e i suoi abitanti sono stati i nostri coinquilini del mese di giugno. Li abbiamo visti corteggiare, deporre, dannarsi per alimentare pulcini sempre più affamati e chiassosi, difendere il territorio da cesene, gazze e persino scoiattoli (non a caso: il delizioso roditore è un abile predatore di uova. Tutti abbiamo un lato oscuro). Fino al momento in cui, all'inizio di questa settimana, il nido è rimasto improvvisamente silenzioso, e gli alberi intorno spogli del frenetico andirivieni degli adulti. Una nuova generazione è ora là fuori, appuntamento all'anno prossimo. Parco nazionale Söderåsen, Skåne. Un parco famoso per la magnifica ed estesa faggeta, e per la gola tettonica che lo attraversa creando ambienti di bosco e torrente a dir poco fiabeschi. Nonostante sia ricco di presenze (tra cui la Colombella nidificante, simbolo dell'area protetta) la sua attrattiva principale non è l'avifauna; tuttavia è proprio sulle presenze alate nel piccolo lago Skärdammen, che voglio soffermarmi. Tutti animali selvatici, beninteso, a partire dalla coppia di Cigno selvatico, parte di una piccola popolazione svernante in Germania che si ferma nel sud della Svezia anziché proseguire nel tradizionale viaggio verso le zone di taiga nordica. La coppia da qualche anno torna con regolarità a nidificare nel piccolo sito, ed è divenuta un'attrazione a se' per i molti visitatori del parco (sul laghetto si affaccia il Centro Visite). Partito per un viaggio orientato al paesaggio, e quindi con una focale massima di 300mm, mi sono ritrovato un po' a sorpresa a divertirmi con gli uccelli, confidando sulla confidenza – se mi passate l'espressione – tipica degli animali abituati ad una presenza umana continuativa e soprattutto benevolente. Sono occasioni da non perdere per sperimentare nuovi approcci con una calma e una disponibilità che normalmente non sono concesse. In questo caso l'idea era di giocare con luci e riflessi particolari, gentilmente offerti dalle foglie giovani dei faggi circostanti e dal sole dell'alba, e di combinarli, quando possibile, con del mosso intenzionale.
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Tutti i contenuti del sito: © Vitantonio Dell'Orto, tutti i diritti riservati Vivo in Svezia, a Särna (Dalarna). Le Cronache sono un diario per immagini della natura (ma non solo) della zona e di tutte le aree scandinave che visito nel mio lavoro fotografico.
Il mio libro: "La mia Svezia - Storie di un fotografo italiano al Nord" è disponibile presso l'editore.
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